Come abbiamo visto in qualche articolo precedente, noi umani (a sangue caldo) siamo capaci di cose che i replicanti non potrebbero nemmeno immaginare. Il fatto è che, a differenza di altri esseri viventi, siamo capaci di differenti stati di coscienza e di prestazione a seconda del nostro stato d’animo e della situazione.
Per esempio, per quanto riguarda l’approccio allo strumento musicale, mi sembra opportuno parlare di almeno due modi particolari, entrambi di fondamentale valore per noi.
Uno è il modo dell’istinto, dell’immediatezza estemporanea: pochi musicisti resistono al piacere di imbracciare uno strumento (o di sedervisi) se vi passano accanto… la facilità con la quale un musicista può generare suoni da uno strumento semplicemente passando e toccandolo (mentre per altri sembra, a volte, così difficile) mi lascia sempre emozionato.
Quando stiamo in questo mood poco ci riguardano le attenzioni tecniche, l’analisi del gesto, l’impostazione, la valutazione (più o meno inconscia) di quanto dare.
Questo approccio allo strumento, che potremmo definire impulsivo, è di grande bellezza ed è carico di euforia, di felicità.
L’altro modo di avvicinarsi ad uno strumento è il modo dell’intensità e della profondità, quando cerchiamo la qualità del contatto ed una elevata abilità; quando, in altre parole, vogliamo esprimerci ad alti livelli di qualità. Non importa se si tratta di una sessione di studio, di una prova o di un concerto: in quel momento, vogliamo ottenere il meglio da noi stessi. È un momento in cui attingiamo a risorse più profonde, quando esprimiamo la sintesi della nostra esperienza di strumentisti e di artisti.
Quando cerchiamo questa condizione, prendendo poi lo strumento in mano saremo carichi non di euforia (che è maggiore con un approccio più istintivo), ma di una particolare profondità e, spesso, abilità.
Questo stato particolare non si esprime nell’immediato, e va voluto. È, però, fondamentale quando vogliamo esprimere le nostre qualità o vogliamo affrontare un impegno rilevante.
Come i lettori più affezionati ricorderanno, nell’articolo La performance tecnica del musicista facevamo riferimento all’andamento gaussiano di molti cicli naturali. Ecco, quando cerchiamo la performance di qualità, una particolare efficienza, o vogliamo comunque dare il meglio, il nostro scopo è di entrare nella zona centrale della curva gaussiana, laddove la nostra prestazione è la massima possibile per quel nostro momento specifico, e di ottenere una curva di uscita dolce e gratificante.
Vorrei sottolineare che questa qualità non si cerca necessariamente in occasione di un concerto, ma è ideale anche quando – ad esempio – si desidera lavorare su una tecnica, un passaggio o un brano che ci impegnano particolarmente; o in un periodo in cui stiamo lavorando sodo per cercare un salto di qualità tecnica o interpretativa.
Come possiamo immaginare, la ricerca di una performance superiore è un problema che si applica a mille campi della prestazione umana, a partire dall’arte del guerriero per finire allo sport ed alle attività lavorative. Niente di più naturale, dunque che l’uomo civilizzato si sia interessato da sempre a questo tema col fine di razionalizzare i metodi e gli approcci che potevano garantirgli, al bisogno, l’accesso alle proprie risorse di qualità superiore.
Nel corso di svariati secoli, e in molte culture diverse quasi allo stesso tempo, insegnanti, maestri, ricercatori hanno studiato approfonditamente gli stati della prestazione umana, individuando le tecniche e le strategie più idonee per replicare a piacere questo salto di qualità. Sono emersi da questa ricerca protocolli e procedure raffinate, arrivate sino a noi al massimo della loro evoluzione dopo una sperimentazione che, seppur non sistematicamente, ha interessato nel tempo centinaia di migliaia di praticanti in ogni campo della performance.
Nonostante abbiano alle spalle una fisiologia ed una psicologia piuttosto complesse, a queste procedure diamo oggi il nome – semplice e rassicurante – di riscaldamento.
Si tratta di un termine ormai certamente noto almeno a tutti gli sportivi e musicisti; dovrebbe tuttavia apparire chiaro che questo tipo di “riscaldamento” ha ben poco a che vedere con l’aumento della temperatura corporea… Qui parleremo di procedure in grado di aiutarci ad innescare il nostro completo potenziale operativo.
Come tutte le pratiche umane, il riscaldamento si può fare in mille modi e con mille risultati diversi. Lo scopo dei prossimi articoli sarà quello di individuare le migliori strategie di riscaldamento per il musicista (e per ogni strumento), cercando al contempo
- l’ottimizzazione dei tempi tecnici e delle procedure;
- una grande efficacia;
- la migliore fisiologia;
- i risultati più duraturi;
- un metodo che, mentre funziona, insegni al musicista come ascoltarsi nella maniera più fisiologica e come comportarsi nelle varie situazioni.
Restate in campana.
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